E adesso, pover’uomo?

 

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Un best-seller (“libro tra i meglio venduti”) del Novecento. Appare in Germania nel 1932, un anno prima della presa del potere da parte di Hitler. Ha subito un grande successo, e in Italia viene pubblicato proprio in quell’anno lì, nel 1933: è il secondo titolo della neonata (e benemerita) collana Medusa di Mondadori (il primo titolo a uscire è Il grande amico di Alain-Fournier).

Quella Medusa sul frontespizio si poteva interpretare in tanti modi: la lettura pietrifica? O è chi non legge a venire pietrificato? O forse Medusa sembra così triste perché ha perso il potere di pietrificare chi la guarda? O ancora: non sarà che Medusa ha gli occhi abbassati per consentire a chi la guarda di non trasformarsi in pietra?…

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Nel ’37 aveva venduto circa 20.000 copie, al ritmo di 4000 all’anno. Quella che vedete nella foto è la dodicesima ristampa, del 1950. Successo, sì, ma perché? Perché il protagonista è un uomo comune, o meglio un uomo in cui tutti coloro che si autodefiniscono “comuni”  possono immedesimarsi: un piccolo borghese, o, come dice il traduttore nell’Avvertimento del traduttore, “l’uomo del comune, l’uomo della strada o della folla, che non sa, né potrebbe, vivere di una vita autonoma o costruire da sé il suo destino”. Diciamo che dopo l’espressionismo, più o meno a partire dal 1925, ci si era dati tutti una calmata. Ora si cercava di ritrarre la vita quotidiana in modo oggettivo: questa tendenza si chiamerà Nuova Oggettività, e sostanzialmente metteva in scena sempre lo stesso dramma, quello di un uomo-massa stritolato tra le maglie di un sistema incoercibile e anonimo.

Un po’ come ai giorni nostri quando si dice, con non minore tasso di ideologia, che la realtà – anzi, pardòn, la “narrazione della realtà” – sia appannaggio del genere noir: ecco, si tende sempre a ridurre la realtà a un genere di successo…

 





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